(Bartolomeo Prinzivalli) – Certo che se ne sono lette di previsioni in questi ultimi giorni, su eventuali pareggi, testa a testa, vittorie risicate e ribaltamenti vari, invece ecco presentarsi la realtà dei fatti, cruda e scontata in un certo senso, eppure diretta come un pugno alla bocca dello stomaco, sia per intensità che per conseguenze. Le elezioni europee non le ha vinte un partito né un’idea, le ha vinte una persona sola.

Ovviamente ogni analisi a posteriori lascia il tempo che trova, ma non era così complicato prevedere un epilogo del genere, anche perché di segnali ce n’erano eccome.
L’italiano vota chi vuole, chi sente più affine ed utile a risolvere i problemi personali, che siano reali o semplicemente percepiti, non è una novità; ha contato l’apparenza, l’indole decisionista, la sovraesposizione mediatica, l’uomo forte dal carisma indotto che detta l’agenda senza tentennamenti, imponendo cosa bisogna fare di volta in volta indipendentemente da esiti inconcludenti, figure barbine, contraddizioni, uso infantile dei social e trovate da osteria dopo la quarta pinta.
Un po’ come in una rock band (mi si passi il paragone), dove non viene ricordato chi col proprio talento scrive canzoni che passeranno alla storia, ma chi tiene il palco accentrando su di sé le attenzioni del pubblico fra gesti provocatori ed eccessi nel privato.
Non è un gioco che si è retto in piedi da solo, ci mancherebbe altro, ma tramite l’apporto dei media e delle opposizioni, a cui è convenuto tantissimo: non c’erano programmi, idee, visioni dettagliate di un’Europa possibile, solo farfugliamenti squinternati su possibili disastri in caso o in mancanza della vittoria di un singolo, costringendo l’elettore alla scelta in base alla simpatia o all’antipatia nei confronti dello stesso; così chi odiava l’eurocentrismo finanziario del Pd ha votato Salvini, chi odiava la cafoneria sguaiata e destrorsa di Salvini ha votato il Pd, lasciando in mezzo al guado e nella terra di nessuno chi si fosse trovato fra loro, considerato né carne né pesce. Un piano ben congegnato, non c’è che dire, anche perché coadiuvato inconsapevolmente da chi troppo in fretta ha sacrificato radici e rivoluzione culturale sull’altare del consenso effimero e volatile, ed ora sarà costretto a riflettere per decidere dove riposizionarsi o da quali basi ripartire, accantonando le percentuali per recuperare valori e concetti più profondi.
Adesso si apre una nuova fase, col vincitore che dovrà sostenere il peso del trionfo mandando trenta dei suoi cloni a scaldare gli scranni comunitari con le verdi terga, sempre che non decidano di emularne le gesta anche nell’indole assenteista, e lì nasceranno i veri problemi; di fronte ad una vittoria così schiacciante qualunque promessa mancata sarà considerata un fallimento senza alibi, e di promesse a capocchia ne sono state fatte a grappoli.
Se abbiamo imparato qualcosa in questi anni è che le parabole ascendenti e discendenti sono sempre più ripide ed il tragitto dalla vetta al baratro sempre più breve, per cui allo spettatore non resta che assistere all’evolversi degli eventi munito di sana e proverbiale pazienza oltre che di un buon antiacido in scorte non indifferenti, poiché i bocconi saranno molteplici, amarissimi e duri da digerire…
