Screenshot 2019-03-26 09.23.10.png(di Marco Palombi – Il Fatto Quotidiano) – È difficile trarre conclusioni univoche da un voto come quello della Basilicata: solo trecentomila elettori (peraltro con un’astensione che sfiora il 47%) e un sistema di potere in dissoluzione dopo scandali a ripetizione. Numeri da prendere con le molle, dunque, anche se qualche notizia c’è e la più rilevante è questa: il centrodestra, imbarcando una discreta dose di trasformisti, strappa la Regione al centrosinistra dopo oltre due decenni e lo fa candidando un generale della Finanza, Vito Bardi.

C’è poi una notizia correlata a questa: la Lega di Matteo Salvini è davvero diventato un partito nazionale e in un’estrema periferia meridionale come la Lucania mette assieme il 19% dei voti, un’enormità che segue il 27% in Abruzzo e l’11% in Sardegna (a cui però va sommato il 9 e dispari del Partito sardo d’azione, federato con Salvini). La terza notizia, ma questa difficilmente sarà riconosciuta dai grandi media, è che il Movimento 5 Stelle barcolla ma non crolla: pur perdendo ottantamila voti rispetto alle Politiche, resta il primo partito col 20 virgola qualcosa per cento e, nel complesso, se la cava meglio rispetto al 2013 (Luigi Di Maio può così scansare le Idi di marzo grilline, in attesa del dopo-Europee).

Si sfascia invece – ed era prevedibile visti gli scandali sofferti e più in generale l’aria che tira nel Paese – l’antica struttura di potere del Pd in Regione, che aveva vinto le ultime quattro tornate con percentuali tra il 67 e il 60%: il candidato del centrosinistra Carlo Trerotola, scelto dal predecessore indagato Marcello Pittella e noto per le passate simpatie missine, s’è fermato al 33,1% nonostante la coalizione larga “alla Zingaretti” comprendesse anche la lista progressista messa in piedi dal bersaniano lucano Roberto Speranza. Notevole, infine, che gli eletti del centrosinistra siano praticamente solo “pittelliani”: nelle istituzioni regionali il centrosinistra è oggi di fatto un “partito personale” o, meglio, “familiare”.

Per suffragare quanto detto finora bisogna usare un po’ di numeri e fare confronti col passato. Il caso più rilevante riguarda ovviamente il centrodestra, che nel novembre 2013 aveva messo assieme in tutto 48mila voti pari (19,4%) e ora passa a 124mila (42,2%). All’interno della coalizione, la Lega – che sei anni fa alle Regionali non correva, mentre alle Politiche di febbraio 2013 aveva raccolto 382 preferenze – passa dai 19.700 voti del 4 marzo scorso (6,2%) ai 55.300 attuali (19,1%) e nonostante un’affluenza in calo di oltre 50mila unità. Forza Italia, invece, conferma il suo declino e raccoglie 26.400 voti (9,1%) contro i 29mila delle regionali precedenti (12%) e i 38.900 delle Politiche (12,4%). Notevole che, a stare ai numeri, questa volta la Lega non si sia limitata a cannibalizzare l’alleato, ma abbia sostanzialmente sottratto i suoi voti a Pd e soci. Il centrosinistra in sei anni passa infatti da 147mila a 97mila voti totali (dal 59,6% al 33,1%), la lista del Pd da 58.700 (24,8%) a 22.400 voti (7,75%) passando per i quasi ottantamila delle Politiche del 2018 (25,6%). Restano stabili, ma residuali, i voti a sinistra dei democratici: erano 12mila e dispari nel 2013 e quelli sono in questo 2019.

Il caso più complesso è quello del M5S: resta il primo partito nella piccola Basilicata, ma coi suoi 58.600 e dispari voti (20,3%) tracolla rispetto alle Politiche di un anno fa, quando ramazzò il 44,3% e 139mila voti abbondanti. Un crollo simile ad altri (l’Istituto Cattaneo calcola che, dove si è votato dopo le Politiche, il Movimento è passato dal 36% al 15%), ma anche un andamento abbastanza tipico per i 5 Stelle tra voto nazionale e locale. Il precedente, molto simile, è quello del 2013, quando in Basilicata passarono dai 75.260 voti delle Politiche di febbraio (24,2%) ai 21.219 voti delle Regionali di novembre (9%).

Il particolare positivo per Di Maio e soci è che domenica c’è stato pochissimo voto disgiunto tra candidato e lista (60.070 al primo, 58.658 alla seconda): potrebbe significare che esiste uno “zoccolo duro” grillino ormai non disprezzabile. La notizia della morte del tripolarismo – parafrasando una celebre battuta attribuita Mark Twain – potrebbe essere grossolanamente esagerata.

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