venerdì 15/03/2019
Poi ci sarebbero pure le incompatibilità più rilevanti, quelle – con rispetto parlando – sui programmi. Calenda viene da Confindustria, Ferrari, Italia Futura di Montezemolo e Lista Monti. Pisapia viene dalla sinistra extraparlamentare, da Democrazia proletaria e da Rifondazione comunista. Che avranno mai da raccontarsi? Dalle grandi opere al lavoro, dall’economia agli esteri, dall’immigrazione all’ambiente, sono agli antipodi. Calenda, se fosse per lui, asfalterebbe pure i laghi, i fiumi e il mare. Pisapia, nel 1996, tuonava contro la variante di valico dell’Autosole Firenze-Bologna, voluta dall’allora ministro dei Lavori pubblici Antonio Di Pietro e bloccata dall’allora ministro dell’Ambiente Edo Ronchi.
“Compito di un governo coerente – disse l’allora senatore del Prc, schierandosi con Ronchi contro l’opera – è di portare avanti il programma per cui ha avuto il consenso popolare ed è quindi comprensibile la decisione di chi si oppone a scelte personali di un singolo ministro non eletto (Di Pietro, ndr) o a prese di posizione diverse da quelle concordate nella maggioranza”. Chissà Calenda, che si appalterebbe pure il cigno del laghetto, cosa ne pensa. Lui che ha appena detto no alla Boldrini in quanto “buonista” e promotrice di una “accoglienza indiscriminata dei migranti”. E che l’altra sera litigava col portavoce di Baobab perché “prima di tutto bisogna dire che non vogliamo e non possiamo aprire le frontiere a chiunque voglia venire, altrimenti perderemmo il controllo del Paese. La sinistra deve imparare a dire delle parole chiare”. Chissà se le dirà Pisapia, amicone della Boldrini, e se coincidono con le sue. Più che candidarsi nel Pd, i due dovrebbero fondare il Dp: Democrazia Proprietaria.
Ma grande è la confusione sotto tutti i cieli. Il vecchio camerata monarchico Antonio Tajani, inopinatamente presidente del Parlamento europeo e vicepresidente di FI, esce al naturale a La Zanzara: “Mussolini, a parte la vicenda drammatica di Matteotti, ha fatto cose positive fino alle leggi razziali e alla guerra al fianco di Hitler”: cioè fino al 1938 (le leggi liberticide, l’abolizione dei partiti avversari, il Tribunale speciale e la guerra d’Etiopia, precedenti al ’38, furono una figata). Poi, per salvarsi la poltrona (in Europa certe cose è ancora meglio non dirle) e il maquillage da argine moderato contro la barbarie populista, ha dovuto violentarsi e proclamarsi nientemeno che “antifascista convinto da sempre”. Un atto contro natura che non andrebbe mai chiesto ad alcun essere umano, tantomeno a Tajani. Intanto il “nuovo” Pd di Zingaretti, con il suo “nuovo” tesoriere Luigi Zanda (76 anni, in politica da appena 43), che ha sostituito quello vecchio Francesco Bonifazi (appena indagato per finanziamento illecito e false fatture), tiene subito a distinguersi dal vecchio che nel 2013 aveva abolito il finanziamento pubblico diretto ai partiti: chiedendone l’immediato ripristino. Non solo. Il Pd strepita contro la legge-porcata sulle autonomie regionali, come se non fosse stato Gentiloni ad aprirle la strada ai tempi dei referendum lombardo-veneti e delle richieste analoghe dei governatori pidini Bonaccini e Chiamparino. Pd e Forza Italia accusano il governo di svendere il Paese alla Cina per l’accordino sulla “Via della seta”, forse ignari delle trionfali missioni di B., Prodi, Renzi e Gentiloni sotto la Grande Muraglia. E i sindacati, non contenti di aver criticato il Dl Dignità, quota 100 sulle pensioni e il reddito di cittadinanza dopo aver chiesto per anni cose simili ai governi amici che facevano l’esatto opposto, se la prendono pure con il salario minimo, che invocavano fino a quando non l’ha proposto Di Maio: del resto che sarà mai un lavoratore italiano su cinque che guadagna meno di 9 euro lordi l’ora. Già pronta la nuova lista Confindustria Sindacale.

