IL COMMENTO

Nicola Zingaretti non sembra si sia accorto della palude politica in cui si trova. Intorno al presidente della Regione Lazio inizia a farsi strada la convinzione che anche se vincerà le primarie “non convincerà”. Non porterà, probabilmente, più di un milione ai gazebo e così i suoi avversari continueranno a condizionarlo per poi, magari, toglierselo di torno. La sua campagna non morde. Non riesce a immaginare una zampata che vada oltre un certo veltronismo d’antan e una sorta di “volemose bene”.

Per paradosso, uno che candidato non è, come Carlo Calenda, ha dato uno scossone maggiore, sia pure limitandosi a una idea di fronte europeista, riciclando le vecchie idee renziane. E lo stesso Matteo Renzi, tra un insulto e un annuncio di querela, intestandosi la più berlusconiana delle battaglie, l’attacco ai magistrati “che non mi fermeranno”, ricompatta “i suoi” come dimostra la sceneggiata del Lingotto presenti Maurizio Martina e Roberto Giachetti.

Davvero Zingaretti pensa di replicare con la flemma prudente e saggia di chi, così facendo, si condanna alla scena muta? Davvero pensa di risolverla con la solidarietà totale a Renzi per l’arresto dei genitori senza pronunciarsi sulla magistratura? E, soprattutto, davvero pensa che il futuro del Pd possa essere affrontato senza idee forti? I 5Stelle possono vantare il Reddito di cittadinanza, Salvini la cattiveria anti-migranti, anche Berlusconi può vantare la solfa anti-tasse e anti-magistrati. Ma qual è la “bandiera da issare sulla testa della gente” del Pd? Altri partiti, in altre parti del mondo, dopo sonore batoste e sconfessioni plateali da parte dell’elettorato sono ripartiti rimettendo al centro un’idea-forza per appassionare almeno i propri militanti: lo hanno fatto Jeremy Corbyn e Pedro Sanchez. Zingaretti pensa di non averne bisogno. E così facendo si condanna a essere un perdente di successo.

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