
(Francesco Bei Ilario Lombardo)
Forse davvero il 18 febbraio 2019 – gli arresti dei Renzi e l’immunità a Salvini con i voti grillini – sarà ricordato come il giorno in cui tutto cominciò a cambiare. In cui le vecchie divisioni saltarono e nuove affinità presero forma fino a consolidarsi in partiti nuovi. Chissà. Certo è che il tema della giustizia sta facendo da driver a una trasformazione del sistema politico, mettendo insieme i simili con i simili: populisti con populisti, garantisti con garantisti. Da una parte il SalviMaio, dall’altra il Renzusconi. Gli indizi di un reciproco «annusamento» si moltiplicano e di certo gioca a favore la comune collocazione all’opposizione di renziani e berlusconiani. Ieri poi il Cavaliere ha fatto sapere di aver telefonato a Renzi per esprimergli solidarietà per l’arresto dei genitori. Un primo segnale, anche se chi li frequenta entrambi ammette che la strada sarà lunga. «Renzi – spiega il senatore azzurro Andrea Cangini – il tema delle garanzie l’aveva inquadrato bene fin dai tempi di Silvio Scaglia. Poi purtroppo quando si trattò dell’altro Silvio la sua reazione fu il “game over”». E al Cavaliere quella battuta liquidatoria, pronunciata al momento dell’estromissione dal Senato, ancora brucia. Eppure il tempo passa e le battaglie comuni avvicinano. «Sul referendum propositivo – dice Giorgio Mulè – il governo non ha previsto un limite sulle leggi penali. Vuol dire che un domani un comitato di cittadini potrebbe anche imporre per referendum la pena di morte o la castrazione e il Parlamento non potrebbe dire di no. Noi di Forza Italia e i renziani su questo siamo dalla stessa parte, tutti gli altri se ne fregano».
Sull’altro fonte, quello del SalviMaio, siamo molto più avanti, nonostante le smentite. Persino su un tema divisivo come la Tav leghisti e dimaiani hanno trovato ieri l’intesa, suggellando con una mozione comune (che rivaluta la costi/benefici) il patto siglato per salvare il ministro dell’Interno dal processo Diciotti.
E non c’è solo l’Europa, con l’offerta di Salvini ai grillini di confluire in uno stesso gruppo. Dalle parti dei ministri e dei sottosegretari del Carroccio, che spesso e volentieri chiacchierano con i colleghi grillini, si ragiona su una prospettiva inedita e in sé rivoluzionaria. I leghisti hanno intravisto un varco: se i 5 Stelle davvero apriranno le porte ad alleanze con le liste civiche, e magari ci sarà una scissione tra movimentisti e governisti, perché non pensare a un’intesa tra verdi e gialli per le Regioni? Con un obiettivo: conquistare le Terre rosse, l’Emilia-Romagna, le Marche, l’Umbria e la Toscana. Nella prima si voterà in autunno e già qualche mese fa il segretario emiliano della Lega Gianluca Vinci non escluse un’intesa «per mandare a casa Stefano Bonaccini», il governatore Pd che punta alla rielezione. Al referente regionale leghista rispose quello grillino, Max Bugani: «Se governando insieme a Roma riusciremo a fare cose buone, si possono aprire nuovi percorsi finora impensabili». Settimane dopo, si corresse: «Il patto sarebbe meglio con le liste civiche». Max Bugani non è però semplice espressione del M5S regionale. È un socio dell’Associazione Rousseau guidata da Davide Casaleggio e oggi, nonostante l’impegno come consigliere regionale, è anche vice capo della segreteria particolare di Luigi Di Maio, un ruolo fiduciario che stringe il vertice del M5S in un cerchio magico. Bugani è l’unico esponente del M5S ricevuto l’altro ieri da Beppe Grillo all’hotel Forum di Roma. Chiacchierando fuori dall’albergo ha confermato la sua strategia: «Senza ballottaggio per noi è dura. Non è come le città, dove ce l’abbiamo fatta, vedi Roma e Torino. L’alleanza con le liste civiche era un’evoluzione da fare prima. Con l’Emilia forse siamo già in ritardo». Bugani intreccia la teoria alla sua vicenda personale, di consigliere già rieletto e in scadenza, che considera una debolezza anche il vincolo dei due mandati e vorrebbe cancellarlo. Certo è che Lega e M5S hanno in comune la consapevolezza che, se non si uniscono le forze, con il turno unico previsto per le regionali è dura. Per Salvini la conquista dei fortini rossi del Pd, assediati dal sovranismo, sarebbe un sogno. E l’alleanza con Berlusconi, ridotto alla metà rispetto ai grillini, ormai la considera più un impaccio. Per cui è guerra totale. Dentro Forza Italia sta girando una voce che è arrivata fino ad Arcore e ha fatto infuriare l’ex Cavaliere. Per le prossime elezioni amministrative,Salvini pretenderà per la Lega i candidati sindaci di tutti i Comuni sopra i 15 mila abitanti. Una condizione capestro, prendere o lasciare, che assomiglia tanto a un pretesto per far saltare il vecchio centrodestra e correre all’abbraccio con il M5S anche a livello locale.
