sabato 16/02/2019

IL COMMENTO

DOVE INVESTIRE – UN PAESE AD ALTO DEBITO COME L’ITALIA DEVE REAGIRE ALLA CRISI CON RICETTE “LOW COST”

Il calo del Pil che ci ha fatto entrare “ufficialmente” in recessione è stato causato dalla debolezza della domanda interna. Le due principali misure economiche di questo governo – Reddito di cittadinanza e Quota 100 – non saranno sufficienti a invertire la tendenza recessiva, comune anche alla Germania e ad altri Paesi europei. Ecco allora un coro di voci – dalla Confindustria ai sindacati – che sostiene occorra rilanciare gli investimenti pubblici, “riaprire i cantieri” delle molte opere pubbliche in stallo per ostacoli amministrativi o contestazioni.

Tutti si rifanno alle vecchie ricette keynesiane (banalizzandole) per invocare maggior spesa pubblica. Il problema è che l’Italia, col debito pubblico che si ritrova, non può permettersi di aumentare la spesa pubblica in disavanzo, mentre questo già tende a crescere per effetto della recessione.

Un governo responsabile dovrebbe porsi la domanda: come si può stimolare una ripresa della domanda con il minimo aumento di spesa pubblica? La via migliore, senza alcun aumento di spesa, sarebbe quella di ristabilire un clima di fiducia che induca un aumento della propensione al consumo delle famiglie e della propensione a investire delle imprese. Un recente sondaggio ha chiesto a un gruppo di giovani come impiegherebbero un aumento del reddito disponibile. La prima scelta è stata “aumentare i depositi in banca”. L’incertezza sulle prospettive dell’economia e della finanza pubblica nel prossimo anno spinge alla prudenza nella spesa, sia i privati che le imprese; la forte caduta della ricchezza finanziaria contribuisce a deprimere la propensione al consumo. Serve a ben poco aumentare la spesa pubblica se non si invertono queste tendenze.

Altri modi per stimolare la domanda senza costi per lo Stato sono le liberalizzazioni e altri interventi normativi; ci sono poi spese pubbliche che hanno effetti moltiplicativi elevati, come ad esempio l’accelerazione degli ammortamenti o gli incentivi alla ricerca. Aumentare la spesa per investimenti è invece uno stimolo molto costoso per la finanza pubblica, e può risultare addirittura controproducente per i riflessi del maggior deficit sullo spread e sugli oneri per interessi sul debito pubblico.

Chi invoca l’aumento della spesa per le grandi opere pubbliche, quelli come la Confindustria che non ha dubbi sul Tav Torino-Lione solo perché genererebbe subito 50 mila posti di lavoro (numeri di fantasia) sembrano dimenticare che il problema vero della nostra economia non è quello di aggiustare la domanda al ciclo bensì quello della stagnazione “secolare”, della insufficiente crescita della produttività e del Pil da decenni. Avendo risorse scarse, si dovrebbero scegliere gli investimenti che possono contribuire maggiormente alla crescita della produttività e del reddito invece di quelli che hanno una maggior effetto immediato sulla domanda.

Scavare buche per terra, o nei monti, genera un immediato aumento del valore aggiunto nella contabilità nazionale, specie se la componente d’importazione è modesta, anche se non c’è un reale aumento nel benessere collettivo. Si ha poi un effetto moltiplicatore sulla domanda, quando il reddito di chi “scava” viene speso, come avverrebbe per una distribuzione di soldi gratuiti (helicopter money). Ma non migliora la produttività e le prospettive di crescita. Per queste occorrerebbe investire in istruzione, ricerca, reti, settori ad alta tecnologia.

Che prospettive può mai avere un Paese che investe in opere pubbliche con redditività stimata negativa persino ex ante? Qualunque opera pubblica può venir approvata perché “strategica” o sperando che “l’offerta creerà la domanda”, tanto, anche se tra 20 o 30 anni se ne dovesse dimostrare l’inutilità, chi si ricorderà mai di chi ne fu il fautore?

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