Federico Capurso

La sconfitta del Movimento 5 Stelle in Abruzzo ha un colpevole: Davide Casaleggio. Ne sono convinte le truppe parlamentari e, con diversi gradi di risentimento, anche i colonnelli del partito. Vengono messe in discussione le sue capacità di stratega politico, le regole auree di cui è sacerdote, il ruolo della piattaforma Rousseau.

Per togliere lo scettro al leader maximo, in un partito che si professa rivoluzionario, serve però una rivoluzione. Ecco perché in queste ore emerge, tra i Cinque Stelle, la necessità di strutturarsi come «partito» e di abbandonare le ultime briciole di movimentismo rimaste. In molti vogliono un vice di Luigi Di Maio, che lo aiuti perché «da solo non ce la fa». E poi creare una segreteria politica nazionale, nominare dei dirigenti e, per radicarsi nei territori, avere dei coordinatori regionali. Un’operazione, quindi, che mira a erodere parte di quel potere oggi nelle mani di Casaleggio. D’altronde, Davide non è Gianroberto: «Non ha la visione politica del padre – sostengono esponenti di peso del M5S – né è in grado di capire quando si devono mettere in discussione le regole interne».

La prima virata aprirebbe le porte del Movimento alle alleanze con le liste civiche, anche se solo in occasione delle elezioni regionali. Troppo tardi per il voto in Sardegna, che arriverà tra due settimane e dove la sconfitta è già messa in conto. «Ma potremmo fare in tempo per maggio», è il messaggio che circola nelle chat parlamentari, «quando insieme alle elezioni europee andranno al voto Piemonte e Basilicata». Anche il metodo di selezione dei candidati per le regionali, però, crea malcontento. E nel mirino finisce la piattaforma Rousseau, la creatura di Casaleggio: «Siamo costretti ad affidarci totalmente a Rousseau e al voto online. Tanto che in Abruzzo non abbiamo potuto presentare neanche un candidato de L’Aquila, perché nei paesini lì intorno c’era qualcuno che aveva ottenuto più clic: una follia». Casaleggio, dunque, è sempre nel mirino. Nell’amarezza per l’ennesima sconfitta locale, si rinfaccia al figlio del fondatore il divieto, diramato in autunno ai parlamentari, di proporre emendamenti localistici nella scrittura della manovra. «Siamo stati costretti a votare, ad esempio, un emendamento di Cannizzaro, di Forza Italia, che dava 20 milioni di euro all’Aeroporto di Reggio Calabria. Potevamo presentarlo noi. Casaleggio ci avrà pensato alle elezioni a novembre?».

Il figlio – raccontano – non ne vuole sapere di tradire le idee del padre. Ma Davide non è Gianroberto. E la successione dinastica del potere, senza che i sudditi vengano ascoltati, conduce spesso alle rivoluzioni.

La stampa di savona 13 febbraio 2019