lunedì 11/02/2019
DOMINA MARSILIO – IL CANDIDATO DI LEGA-FI-FDI NETTAMENTE AVANTI. SECONDO IL CENTROSINISTRA. MALE IL MOVIMENTO FERMO INTORNO AL 20%


È un trionfo del centrodestra: il candidato di Fratelli d’Italia Marco Marsilio sfiora la metà dei voti (48,9%). Alle sue spalle, distanziati, gli sfidanti: secondo Giovanni Legnini del centrosinistra (28,7%), terza Sara Marcozzi dei Cinque Stelle (21,2%). L’affluenza, non ancora definitiva, è al 52,7%, in calo di 9 punti rispetto al 2014. Sono solo le prime proiezioni: mentre il giornale va in stampa lo spoglio delle elezioni regionali è appena iniziato. Ma a meno di ribaltoni clamorosi la notte abruzzese porta un segnale chiaro, quasi brutale: vince Matteo Salvini, perde Luigi Di Maio. E arrivano conferme. La prima: la Lega e il suo leader sono saldamente al centro della scena, ancora più di ieri. La seconda: il Movimento Cinque Stelle paga questi mesi di governo in cui, almeno a livello mediatico, è sembrato lo sparring partner del suo alleato, oltre alla storica incapacità di essere competitivo nelle elezioni regionali. La terza: il centrodestra a livello locale è una formula politica collaudata e quasi sempre vincente.
Insomma, la strategia del doppio tavolo di Matteo Salvini funziona ancora alla grande: governa l’Italia con i 5 Stelle (che a inizio legislatura avevano quasi il doppio dei voti e dei parlamentari della Lega) e sta prosciugando il loro consenso. Governa con Berlusconi e Meloni nei territori, e pure l’ex Cavaliere è diventato una portata del banchetto leghista. L’Abruzzo sarà con ogni probabilità la settima Regione d’Italia ad avere una giunta di centrodestra – la nona se si contano le Province autonome di Treno e Bolzano – dopo Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Molise e Sicilia. La prossima sfida, tra due settimane, è in Sardegna.
L’affermazione di Marsilio è un colpaccio di Fratelli d’Italia (che incassano il loro primo governatore) ma soprattutto un trionfo della Lega, che 5 anni fa in Abruzzo non si era nemmeno presentata e ora nel voto di lista, nella prima proiezione vola al 27,3%. Diventerà una pistola fumante, per Salvini, da mettere sul tavolo di qualsiasi trattativa politica.
Per i Cinque Stelle è delusione pura: secondo le proiezioni Marcozzi non solo straperde da Marsilio, ma finisce lontana anche da Legnini. L’ex vicepresidente del Csm ha condotto una campagna elettorale solitaria – nessuno dei big del Pd si è affannato a sostenerlo, e infatti il partito si ferma al 7,8% – ma ha dimostrato di essere un candidato solido.
Per Luigi Di Maio e i suoi invece si profila una sconfitta rovinosa e una percentuale davvero troppo bassa nel primo vero test dalla nascita del governo. Si aspettavano di restare almeno attorno al 30%, in una Regione dove nelle Politiche era stato sfiorato il 40. Secondo la prima analisi dei flussi del consorzio Opinio solo il 66% degli elettori del 4 marzo avrebbe confermato il voto ai 5Stelle (il 19% si sarebbe spostato su Marsilio, il 15 su Legnini). Anche se può essere fuorviante confrontare le Regionali con il voto nazionale, la batosta è innegabile. Grande almeno quanto la soddisfazione del sempre più ingombrante alleato di governo. Per Marcozzi è la seconda sconfitta consecutiva: anche nel 2014 arrivò terza con il 21,4%. Ma di nuovo: al di là del significato locale, l’ombra dell’Abruzzo è destinata ad allungarsi su Palazzo Chigi e sul rapporto tra i due vicepremier gialloverdi.
Che Salvini ci tenesse molto si era capito nelle scorse settimane – il capo della Lega si è concesso ben 7 trasferte in terra abruzzese per la campagna elettorale – e anche nelle ultime 24 ore. Quelle del silenzio elettorale. Proprio il ministro dell’Interno, colui che avrebbe la responsabilità del corretto svolgimento delle operazioni, ha infranto la regola che impone di interrompere la propaganda nella giornata del voto. Salvini ha violato il silenzio elettorale ben tre volte. Prima alle 6 e 29 di mattina su Twitter: “Oggi in Abruzzo, dalle 7 alle 23, vota Lega”, poi qualche ora dopo sempre sulla stessa piattaforma, chiedendo di mettere “una croce sul simbolo della Lega” e più tardi anche su Instagram: “Chi non va a votare ha già perso, libertà è partecipazione”.
Numerose e inevitabili le proteste (tra cui quelle del favorito per la segreteria del Pd, Nicola Zingaretti: “L’arroganza e l’incapacità al potere. Iniziamo a mandarli a casa”). Salvini – per usare un linguaggio a lui familiare – se ne frega. Della forma non si cura, la sostanza dice che le elezioni abruzzesi saranno l’ennesimo gradino di un’ascesa impressionante.
