mercoledì 16/01/2019

GLI AFFARI 

BOERI HA CERCATO DI RIFORMARE LA GESTIONE E RIDURRE I RISCHI DI CORRUZIONE RAFFORZANDO I POTERI DEL PRESIDENTE. MA ORA TORNERÀ IL CDA

Tra le molte nomine del governo una pesa più delle altre: quella del presidente dell’Inps. Il successore di Tito Boeri dovrà gestire il reddito di cittadinanza – l’esame delle domande e l’erogazione dipendono dall’istituto di previdenza – e “quota 100”, cioè il pensionamento anticipato di qualche centinaia di migliaia di persone. Il decreto con le due misure da cui dipende il destino politico di Lega e Cinque Stelle alle elezioni europee di maggio è atteso in questi giorni, così come la decisione sul futuro presidente dell’Inps, che dovrebbe insediarsi a metà febbraio, allo scadere del mandato di Boeri. In assenza di un nuovo vertice, si andrà al commissariamento, scelta politicamente rischiosa perché i dirigenti Inps saranno assai meno collaborativi con una figura transitoria che con un presidente dai pieni poteri.

Dietro alla partita politica, però, sull’Inps se ne giocherà anche una gestionale, almeno altrettanto rilevante. L’Inps non è soltanto un pezzo della politica economica del governo, è anche una colossale macchina amministrativa che intermedia miliardi di appalti. La gestione Boeri si è aperta con un esposto all’Autorità anticorruzione il 31 dicembre 2014 dell’allora direttore generale Mauro Nori e si chiude ora con il videomessaggio del presidente Anac, Raffaele Cantone, per i 120 anni dell’ente che plaude alla collaborazione dell’Inps di Boeri. Nori, fuori dall’ente da cinque anni, ora è in corsa come nuovo presidente. Sulla base di quell’esposto, un bellicoso saluto di benvenuto di Nori che era in procinto di andarsene, l’Anac ha indagato nel dettaglio il modo in cui l’Inps gestiva molti appalti, soprattutto in campo informatico. In una delibera di luglio del 2018, l’Anac ha riscontrato che all’Inps – fino al 2014 – si registravano “carenze nelle attività di programmazione e di controllo” che potrebbero “aver agevolato fenomeni corruttivi”.

L’Autorità anticorruzione ha analizzato nel dettaglio 19 contratti per un valore di 227 milioni di euro negli anni 2012-2014 e ha osservato che non risultava “alcuna indagine di mercato finalizzata a dimostrare l’oggettiva esistenza di un unico operatore in grado di offrire quanto richiesto dalla stazione appaltante”. In pratica, si firmavano contratti per milioni con società come Ibm o Microsoft a cui l’Inps si legava in un “perdurante lock in tecnologico”, condannandosi cioè a pagare per anni, senza neppure informarsi se un concorrente poteva offrire servizi migliori a prezzi inferiori. Come rivelato dal Fatto l’estate scorsa, l’Anac ha poi passato i risultati delle sue ispezioni alla Procura e alla Corte dei Conti, prima o poi conosceremo il risultato di queste indagini.

Boeri ha prorogato alcuni di quegli appalti contestati ma ha anche cercato di applicare una discontinuità nella gestione dell’Inps in un modo che gli è costato pochi applausi e molti nemici. Ha perfino cacciato il direttore generale che si era scelto, Massimo Cioffi, per nominarne nel 2017 uno nuovo, Gabriella Di Michele (che aveva in curriculum il precedente di essersi autorizzata da sola un mutuo agevolato da 300.000 euro, quando era dirigente della Regione Lazio). L’economista della Bocconi scelto dal governo Renzi – e da esso presto rinnegato – ha cercato di riformare l’Inps con una centralizzazione delle decisioni, soprattutto su contratti e appalti. Prima c’erano stazioni appaltanti in ognuna delle 20 direzioni regionali, oltre che nelle strutture centrali e nella direzione generale con sovrapposizioni e responsabilità opache. Boeri ha introdotto una stazione unica appaltante per ambito territoriale, operativa dal 2018. Sulle forniture informatiche, secondo dati Inps, porta a risparmi fino al 114 milioni su un singolo contratto. A sei grandi strutture regionali è stata lasciata autonomia di spesa, ma solo per acquisizioni sotto i 40.000 euro, quando non scatta l’obbligo di gara. Poi Boeri ha ridotto le procedure “non concorrenziali” anche a livello centrale, tipo gli affidamenti diretti senza bando, e ha limitato le “proroghe tecniche”, un altro dei trucchi usati a lungo per evitare di rimettere in discussione il rapporto tra Inps e fornitori di servizi. Nella gestione dei software, per fare un altro esempio, l’Inps è passato da un sistema a “lotti esclusivi” – ogni società poteva ottenere un solo lotto, schema che incentivava la spartizione tra concorrenti invece che la competizione – a una gara più aperta: ogni azienda può competere per tutti i lotti.

Tutte queste novità hanno avuto come denominatore comune la centralizzazione delle decisioni e del potere: poiché Boeri non poteva cambiare tutti i dirigenti di cui non si fidava o che erano responsabili delle pratiche censurate dall’Anac, ha ridotto il loro numero e ha razionalizzato la divisione dei compiti. A livello centrale, cioè, a Roma come unico centro decisionale forte è rimasta la presidenza (con la direzione generale), con le competenze residuali affidate al territorio. Queste scelte hanno determinato proteste e rivolte interne – alcune più motivate di altre –, ma secondo l’Anac di Cantone hanno funzionato nel ridurre i rischi di corruzione. Il problema è che non sembrano destinate a sopravvivere al presidente che le ha volute.

Il governo è determinato a smontare il modello dell’uomo solo al comando: all’Inps, come all’Inail, tornerà un consiglio di amministrazione e già questo renderà difficile mantenere la centralizzazione decisionale della fase Boeri. Una governance e una trasparenza che si reggono sulle decisioni del presidente vacilleranno con un vertice non più monocratico. Nel vuoto di potere o nel moltiplicarsi dei centri decisionali le aziende fornitrici troveranno più appigli. Il ritorno al passato incombe.

La vicenda

Nel dicembre 2014, il governo Renzi nomina l’economista della Bocconi, Tito Boeri, presidente Inps. Boeri, nei suoi editoriali su Repubblica
e su LaVoce.info, era stato già critico verso Matteo Renzi e le occasioni di scontro con l’esecutivo non mancano. Anche con Cinque Stelle e Lega i rapporti oscillano tra le affinità su alcuni temi (vitalizi) e lo scontro aperto su altri (quota 100, reddito di cittadinanza, effetti del decreto Dignità). Il mandato di Boeri scade
il 14 febbraio 2019

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