mercoledì 16/01/2019
Noi siamo da sempre convinti che Jean Claude Juncker – notoriamente “lambrusco di modi” come il Saragat di Fortebraccio – non sia affatto un gaffeur, ma un politico brutalmente sincero (e dunque non sincero in sé, ché il rapporto tra politica e sincerità è fatto complesso). Ieri, per dire, ha voluto celebrare i 20 anni dell’euro così: “Nel momento della crisi c’è stata dell’austerità avventata”. E poi così: “Mi sono sempre rammaricato per la mancanza di solidarietà al tempo della crisi greca. Non siamo stati solidali con la Grecia, l’abbiamo insultata e coperta di invettive”. E ancora così: “Mi rammarico di aver dato troppa importanza al Fondo monetario internazionale. All’inizio della crisi molti di noi pensavano che l’Ue avrebbe potuto resistere all’influenza del Fmi. Se la California è in difficoltà, gli Usa non si rivolgono mica al Fondo”. Ora, a parte che il Fmi ad Atene sembrava Madre Teresa rispetto a Ue e Bce, queste frasi così sincere e autocritiche raccontano soprattutto lo stadio terminale della carriera di Juncker e, una volta di più, la sua coerenza: un tempo disse “noi sappiamo cosa fare, ma non come essere rieletti dopo averlo fatto” e oggi essere rieletto non è più un suo problema. Forse tra alcuni anni sentiremo dire pure che certe letterine “avventate” di Francoforte su crediti deteriorati accumulati in larga parte con l’austerità “avventata” di cui sopra hanno avventatamente aiutato l’arrivo di una nuova crisi in Europa. Per ora, però, è come fossimo nel 2011: “Quando si fa seria, bisogna mentire”. Chi l’ha detto? Ma Juncker.
