mercoledì 16/01/2019
Avete notato? Come per i babbi, anche per Carige la strategia dell’opposizione Pd è stata quella dello specchio riflesso: saltano fuori Renzi e Boschi e, in un ritorno ai litigi infantili, puntano il dito cantilenando “Chi lo dice lo è, mille volte più di me”. Così, di fronte al decreto del governo per salvare la banca genovese, commissariata il 2 gennaio dalla Bce, sono partiti i “vergogna, per anni ci avete insultato”.
Abbiamo sperato che, imputandoli agli altri, finalmente ammettessero errori commessi, invece niente. Gettato il sasso, sono ri-scomparsi. Forse si sono resi conto che, intignando, rischiavano di rinverdire il ricordo delle loro gesta bancarie, complicando la gastrite degli italiani. Stesso schema per papà Di Maio: prima l’amarcord “vedete che anche voi… chiedete scusa”, poi – di fronte alle accuse di lavoro nero e abusivismo delle Iene per babbo Renzi – l’oblio e la minaccia di querele per chi osi metterli insieme nella stessa frase (l’inciso vale come punto, ok?).
Strategie kamikaze a parte, breve promemoria sulle presunte somiglianze con il passato. Al momento, nel decreto Carige c’è una garanzia pubblica per 3 miliardi sulle nuove obbligazioni e un impegno fino a 1,3 miliardi per un’eventuale “ricapitalizzazione precauzionale”, che il presidente-commissario Modiano definisce “ipotesi teorica estrema, più che residuale, non necessaria”.
Quindi, per ora, abbiamo solo una garanzia e nessun soldo pubblico speso; nel caso lo fosse, ci vorrebbe l’ok della Commissione Ue (per non incorrere in aiuti di Stato) e il governo prevede la nazionalizzazione, ossia l’ingresso dello Stato nella proprietà della banca.
Il decreto sarà pure un copia-incolla di quello del governo Gentiloni su Mps e banche venete, ma il finale è molto diverso (l’impegno pubblico rendeva possibile l’acquisizione delle venete da parte di Intesa Sanpaolo, “a condizioni assai generose”).
Quanto alle (tristi) reminiscenze di Banca Etruria, qui non si prevedono bail-in, che hanno fatto pagare il conto del dissesto agli obbligazionisti subordinati, mandando sul lastrico migliaia di risparmiatori; e non risultano vicepresidenti babbi di ministri, che poi incontrano banchieri per evitare il crac, né “soffiate” ad amici investitori. Anzi, secondo il sempre ben informato Ferruccio de Bortoli, “i legami incestuosi con la politica” di Carige erano con “gli Scajola, Grillo (Luigi, ex dc, non il comico genovese guru dei 5Stelle), Bonsignore”.
Sul presunto conflitto d’interessi, il premier Conte ha chiarito di “non aver mai avuto uno studio associato insieme ad Alpa” – suo mentore e nel cda di Carige fino al febbraio del 2014 (cinque anni fa) – ma di essere stato solo suo “coinquilino, condividendo la segreteria”. E di “non essere mai stato consulente del finanziere Mincione, né di averlo incontrato o conosciuto”, solo “aver espresso un parere per una sua società da avvocato, prima di diventare presidente del Consiglio”. Nulla a che vedere con le vicende aretine…
Invece di insistere sugli specchi, bene farebbe il Partito democratico a sostenere un decreto che ci riporta sì al passato, ma solo per interrogarci sulle responsabilità – perché non si è intervenuti prima, per Carige e le altre banche salvate? – e magari ringraziare per il fondo da 1,5 miliardi per i risparmiatori truffati che c’è in manovra (Renzi e Pd che ringraziano Di Maio e Salvini? Ammetto, mi sono fatta prendere la mano…).
